In occasione del “Meeting nazionale delle Famiglie A.I.S.EA 2022”, il 9 aprile scorso, la dott.ssa Emanuela Abiusi (Istituto di Genetica Medica dell’Università Cattolica di Roma) ha riassunto l’attività svolta negli ultimi dieci anni dalla ricerca scientifica per individuare un farmaco candidato a curare l’emiplegia alternante (AHC).
Dal 2012, quando si è scoperto che le mutazioni del gene ATP1A3 sono la principale causa di questa rarissima sindrome, il lavoro dei ricercatori si è sviluppato su tre fasi:
1) Sviluppo e caratterizzazione di un modello cellulare per l’emiplegia alternante;
2) Screening dei composti candidati;
3) Caratterizzazione in vitro dei composti candidati e inizio degli studi preclinici.
Sviluppo e caratterizzazione di un modello cellulare per l’emiplegia alternante
Nella prima fase sono state scelte come modello cellulare per l’emiplegia alternante delle cellule di neuroblastoma (SH), perché in grado di trasformarsi in cellule simili ai neuroni. Dopo il differenziamento, infatti, queste cellule presentano alcuni prolungamenti tipici dei neuroni, possono produrre segnali elettrici come quelli dei neuroni ed esprimono delle proteine tipiche delle cellule neuronali.
Nelle cellule SH sono state trasferite le tre mutazioni più comuni riscontrate nell’AHC, ossia E815K, D801N, G947R. Nelle cellule mutate si sono notate, a livello morfologico, alcune diversità rispetto a quelle native: i prolungamenti delle cellule native sono più allungati, mentre quelli delle mutate appaiono più “tozzi”. Inoltre queste ultime accumulano sodio al loro interno. Il gene ATP1A3, infatti, presiede alla sintesi della proteina ATP, che regola il funzionamento della pompa per lo scambio di sodio e potassio tra l’interno e l’esterno della cellula. Il suo malfunzionamento provoca un aumento del sodio, evidenziato cromaticamente grazie all’utilizzo di apposite sonde.
Screening dei composti candidati
A questo punto è iniziata la fase due: il modello individuato è stato impiegato per effettuare uno screening di molecole e cercare i composti candidati. Sono stati presi in esame 535 composti, già classificati come sicuri per l’uomo. Le cellule mutate sono state trattate ognuna con una molecola diversa per misurarne il livello di sodio e selezionare quelle in grado di riportare i livelli di sodio il più possibile vicini a quelli delle cellule native. Si è giunti così a 87 composti candidati che, dopo un ulteriore screening, sono stati ridotti a 27. Successivamente è stato studiato l’effetto delle molecole sul Ph (il livello di acidità) in quanto si è osservato che le cellule mutate, oltre al sodio, accumulano anche ioni idrogeno (H+) che hanno effetto di alterare il Ph. Al termine di quest’analisi sono stati individuati 13 composti in grado di ripristinare sia il livello di sodio sia il Ph. Di questi si sono studiate le informazioni disponibili in letteratura, arrivando infine a identificare 3 molecole già sperimentate per il trattamento dell’epilessia o con caratteristiche strutturali simili ad altri farmaci anti epilettici.
Caratterizzazione in vitro dei composti candidati e inizio degli studi preclinici
Si è giunti in questo modo alla terza fase, dedicata a caratterizzare in vitro le 3 molecole selezionate e avviare gli studi preclinici. Per prima cosa è stato studiato l’effetto sul potenziale di membrana delle cellule. Il potenziale di membrana è la differenza di carica elettrica tra l’interno e l’esterno delle cellule. Nelle cellule neuronali esso permette la trasmissione degli impulsi elettrici attraverso la rete dei neuroni. Nelle cellule mutate si osserva la depolarizzazione del potenziale di membrana, ossia la diminuzione della differenza di cariche elettriche tra l’interno e l’esterno delle cellule, condizione che le rende meno eccitabili. Nelle cellule mutate trattate con i farmaci si è notata una riduzione della depolarizzazione.
Attualmente i ricercatori stanno analizzando il trascrittoma delle cellule mutate, ossia i livelli di espressione di tutti i geni all’interno delle cellule, per caratterizzare gli effetti molecolari delle mutazioni ATP1A3 e capire il meccanismo d’azione delle tre molecole identificate.
Sotto la direzione del prof. M. Mikati sono in corso presso la Duke University (USA) gli studi preliminari su un modello di topo con emiplegia alternante, con l’obiettivo di individuare le corrette modalità di trattamento e le concentrazioni efficaci dei principi attivi. I primi esperimenti sono stati condotti su 7 topi con mutazione D801N. Dopo il trattamento con la prima delle 3 molecole da testare, è stato notato che i soggetti trattati passano più tempo sulla ruota, segno che il composto non è tossico. Gli stessi topi sono stati sottoposti anche al test dell’immersione in acqua fredda, rilevando una riduzione di durata degli episodi di distonia e l’assenza di episodi epilettici, dati che sembrano incoraggianti. E’ stato poi eseguito un test comportamentale denominato “Open field”, in cui i topi vengono posti in una scatola per studiarne i movimenti in un ambiente sconosciuto: il loro comportamento è stato interpretato come una riduzione dell’iperattività.