Emiplegia Alternante. Criticità nel diventare grandi: il passaggio dall’assistenza pediatrica all’età adulta

La transizione delle cure dall’età pediatrica all’età adulta di una persona con malattia rara e complessa è spesso vissuta dalle famiglie come un salto nel buio, per la mancanza sia a livello sanitario sia a livello sociale di percorsi chiari ed efficaci di accompagnamento verso la crescita dell’individuo. Questo periodo di vita è emotivamente complicato per il paziente e la sua famiglia, poiché comporta un cambiamento significativo nel modo in cui vengono gestiti i bisogni di assistenza e implicazioni psicologiche importanti.

Spagna: il programma A10! per la “Transizione” di pazienti con emiplegia alternante

Durante l’ultimo simposio “ATP1A3 in Disease” a Barcellona è stato presentato dagli esperti prof.ssa Esther Lasheras e prof. Jaume Campistol Plana un programma di “transizione” attivato presso l’Ospedale pediatrico Sant Joan de Déu, che si concentra sull’aiutare i pazienti giovani a passare dall’assistenza pediatrica a quella per adulti, in particolare quelli affetti da malattie croniche rare come l’emiplegia alternante. Lanciato nel 2015 e sviluppato con il contributo di pazienti, famiglie e professionisti, il programma denominato A10! rappresenta un modello collaborativo tra i principali ospedali della Catalogna che si adatta alle esigenze di ciascun individuo. Consiste di due fasi principali: la preparazione, in cui i pazienti imparano a gestire la propria malattia, e il trasferimento, in cui le équipe pediatriche e quelle per adulti lavorano a stretto contatto per garantire la continuità delle cure.

L’esperienza italiana: cosa dice il Piano nazionale delle malattie rare 2023-2026

Nell’ultimo decennio su questo tema si è discusso ampiamente anche in Italia, dove sono stati sviluppati interessanti progetti come il protocollo per la “transizione” tra l’Università Cattolica del Sacro Cuore – Policlinico “A. Gemelli” e l’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” relativamente a specifiche patologie destinatarie di percorsi clinico-assistenziali attraverso l’interazione di professionisti dell’adulto con équipe di tipo pediatrico. Ma è necessario un grande sforzo per mettere a sistema a livello nazionale buone pratiche in tale direzione per il complesso universo dei malati rari.

Nel “Piano nazionale delle malattie rare 2023-2026” si legge: “Al fine di favorire la transizione dall’età pediatrica all’età adulta, i centri che si occupano di gruppi di malattie omogenei per le competenze assistenziali richieste, devono “preferibilmente” disporre sia di una componente pediatrica, sia di una componente dedicata all’assistenza degli adulti. Nel caso di ospedali pediatrici, cioè dedicati esclusivamente all’assistenza a bambini e adolescenti, dovranno essere favoriti speciali accordi o convenzioni con gli ospedali dell’adulto per permettere, comunque, un’adeguata transizione degli adolescenti malati rari verso analoghi centri dedicati agli adulti”.

Il racconto di una mamma di A.I.S.EA

Abbiamo chiesto a Valentina Baroni, consigliera di A.I.S.EA e mamma di Federica una ragazza di 19 anni con Emiplegia Alternante, quale è stata la sua esperienza con Federica dal punto di vista sanitario e sociale.

Creare un ponte che accompagni i nostri giovani nella crescita è importante perché le loro esigenze cambiano con l’età” – spiega Valentina “Noi siamo di Pavia e, dopo varie peripezie, siamo riusciti a ottenere come centro di riferimento per Federica l’Istituto Pediatrico Gaslini di Genova, dove è attiva la dott.ssa Elisa De Grandis, specializzata nello studio di questa malattia rara. Da piccola, dopo alcune esperienze insoddisfacenti, abbiamo fatto seguire la bambina da una pediatra privata molto brava, che non ha l’ha mai esclusa dalla sua protezione anche quando è diventata più grande. Ad un certo punto però è stato inevitabile passare al medico di base. Per fortuna abbiamo individuato una dottoressa competente che segue le indicazioni della specialista del Gaslini. Più complesso è stato l’inserimento sociale di Federica finiti gli studi. Dopo il diploma al corso professionale come addetta alle vendite, non abbiamo trovto nessuna proposta lavorativa o possibilità di accoglienza in qualche struttura. Ci siamo sentiti abbandonati. Abbiamo incontrato molte difficoltà a far prendere in carico la ragazza nei centri territoriali preposti. Solo dopo diverse insistenze siamo riusciti a iscriverla ad un centro diurno e a febbraio finalmente inizia l’inserimento.  Credo che la mia situazione sia simile a quella di altre famiglie sul territorio nazionale – prosegue Valentina – A livello emotivo la mancanza di prospettive nel divenire grandi crea nei ragazzi stati d’ansia e rabbia e nelle famiglie un senso di impotenza. Anche l’informazione dei servizi sociali è spesso carente e i genitori devono ‘arrangiarsi’ da soli”.