12° SIMPOSIO “ATP1A3 IN DISEASE” – Barcellona, 14-15 novembre 2024

Il resoconto che riportiamo di seguito sul 12° "Simposio ATP1 A3 in Disease" scaturisce delle relazioni accurate inviateci delle ricercatrici presenti al meeting: dott.sse Elisa De Grandis e Michela Stagnaro (Istituto Giannina Gaslini di Genova) e dott.ssa Agnese Novelli (Università Cattolica del S. Cuore di Roma), ritratte nella foto insieme al dott. Danilo Tiziano (Università Cattolica del S. Cuore di Roma)


Il dodicesimo simposio ATP1A3 in Disease si è svolto a Barcellona presso il “Recinto Modernista di San Paolo”, un sito patrimonio mondiale dell’UNESCO, espressione del modernismo catalano, sede un tempo di un ospedale di cui si può rivivere la storia attraverso il restauro di un padiglione contenente i letti, la mobilia e molti strumenti medici dell’epoca.

Entrambi i giorni sono stati suddivisi in diverse sessioni, a partire da quelle riguardanti i meccanismi biomolecolari e i modelli di studio animali (con un focus, quindi, sulla fisiopatogenesi della sindrome AHC) passando poi a sessioni cliniche, in cui sono stati approfonditi diversi aspetti della sindrome AHC emersi da studi o revisioni di letteratura, e anche delle altre condizioni correlate al gene ATP1A3, per poi passare a sessioni dedicate alle iniziative delle varie associazioni di famiglie. Molto toccanti sono stati i video delle testimonianze di alcune famiglie che hanno intervallato le diverse sessioni nei due giorni.

Forse, a nostro parere, il dodicesimo simposio è stato quello in cui maggiormente si è percepita l’unione e il collegamento tra i ricercatori, i clinici e le famiglie, frutto del lavoro degli ultimi anni (perché già ad Edimburgo ricordiamo con commozione alcune testimonianze tra cui quella del vicepresidente A.I.S.EA Filippo Franchini).

14 NOVEMBRE 2024 - MATTINO

Il primo giorno si è aperto con il saluto di Carmen Fons, in tutti i sensi la regina del comitato scientifico organizzatore, composto anche da Eleni Panagiotakaki, Hanne Poulsen e Alfred L. George.

Spreading depolarization in modelli murini di AHC

Il dott. Van Den Maagdenberg, dell’Università di Leiden, ha aperto la prima sessione “Decoding ATP1A3” con una presentazione riguardante la “spreading depolarization in modelli murini di AHC”. In sintesi hanno studiato l’attività cerebrale in topi wild type e in topi portatori delle mutazioni D801N e E815K, mediante l’impianto di elettrodi nella corteccia visiva (V1), motoria (M1) e nell’ippocampo dorsale, accompagnandola con video per definire il comportamento degli animali a diverse età. L’analisi dei dati EEG ha evidenziato anomalie presenti già nei topi molto giovani, ossia anomalie epilettiformi fino ad avere vere e proprie crisi epilettiche, e la genesi di eventi di spreading depolarization (SD) che, ad età successive, possono causare gravi conseguenze. Nei topi wild type la SD resta dove è stata provocata, mentre nei topi mutati si diffonde in altre regioni cerebrali, con una diversa localizzazione cerebrale a seconda del tipo di mutazione. Inoltre, nella SD si riduce il livello di ossigeno con effetti devastanti. L’obiettivo della ricerca è investigare i principali processi neurobiologici e le regioni cerebrali dove si verificano, non solo per capire meglio la fisiopatologia della sindrome, ma anche per guidare lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche.

La pompa NA/K -ATPasi da un punto di vista strutturale

Le due successive presentazioni hanno avuto come oggetto la descrizione della pompa NA/K -ATPasi da un punto di vista strutturale (con le diverse isoforme e la loro distribuzione nelle sindromi ATP1A3 correlate), anche grazie ad un modello di insetto in cui è stata studiata la SD. Nella presentazione di Christensen dell’Università Aarhus, è stata descritta la minore affinità per il sodio nelle mutazioni AHC/RDP/CAPOS che sembra correlata a variazioni dell’equilibrio conformazionale piuttosto che al cambiamento del legame con lo ione. Sono state anche presentate le prime strutture cryo-EM a bassa risoluzione della mutazione Q140L associata ad AHC, che determina una riduzione dell’attività della pompa.

Nella presentazione di Andersen sui modelli con gli insetti, che presentano molte analogie con il mondo dei mammiferi, è stata nuovamente posta l’attenzione sul meccanismo della spreading depolarization. La pompa Na/K atpasi degli insetti è codificata da un solo alfa gene, ad espressione ubiquitaria e con una similitudine nell’80% della sequenza, e con alcuni segmenti identici, di cui l’80-95% nella parte transmembrana. Secondo il gruppo di ricerca, gli insetti possono essere molto utili per capire la neuropatogenesi nelle sindromi che interessano l’uomo e che coinvolgono la pompa Na/K atpasica.

Il “gene editing” nell’emiplegia alternante

La sessione successiva “Bridging discoveries”, costituita da presentazioni che fanno da collegamento tra ricerca e possibili applicazioni terapeutiche, ha visto le presentazioni del dott. Terrey (laboratorio Jackson), del dott. Sousa (Broad Institute of MIT and Harvard) e del dott. George (Northwestern University). Il dott. Sousa ha descritto i progressi nella metodica del “gene editing” nella AHC per quanto riguarda le 5 mutazioni ATP1A3 più frequenti (D801N, E815K, L839P, e due varianti di G947R); inoltre ha descritto un modello murino di AHC, portatore di mutazione D801N, in cui il gene editing porta ad un miglioramento della clinica. Il dott. George ha esposto un aggiornamento su quanto presentato lo scorso anno a Chicago, in merito all’uso di “oligonucleotidi antisenso” (ASO), molecole di tipo RNA che invece di correggere il difetto molecolare perennemente, riducono il prodotto patologico delle mutazioni. Il dottor George ha cercato di rispondere agli interrogativi dello scorso anno circa l’efficacia, la selettività allelica, la potenza e la tossicità, descrivendo i risultati di uno studio su neuroni IPSC derivati da pazienti portatori di E815K. Vi sono risultati promettenti in vitro per due molecole, una Gadmer e l’altra Splitmer, che, però, sono tossiche in vivo, per cui c’è ancora molto lavoro da fare per ridurre la tossicità degli ASO. Per quanto riguarda la fisiopatologia, nei neuroni IPSC sani si registrano “bursts” di attività, mentre nei portatori di E815K la risposta è più intervallata e irregolare e gli ASO normalizzano l’attività neuronale rispetto ai bursts che erano alterati nelle cellule E815K.

La presa in carico dei pazienti dall’infanzia all’età adulta

Nella terza sessione della mattinata, “Clinical Approaches”, il dott. Campistol e la dott.ssa Lasheras dell’Hospital “Sant Joan De Deu”, hanno fatto un excursus sulla presa in carico dei pazienti dall’infanzia all’età adulta, attraverso l’esperienza del programma di transizione “A10” in corso presso il loro ospedale, che aiuta i pazienti nel passaggio ai servizi per adulti, soprattutto nei casi di sindromi molto rare quale è l’emiplegia alternante. Questo programma è basato su un sistema multi-specialistico (neurologia, pediatria, genetica, cardiologia, psicologia, fisioterapia, disordini del movimento, epilessia e assistenza sociale) che ha accompagnato molti bambini con disturbi neurologici rari all'assistenza per adulti.

La scala funzionale utilizzata per la valutazione dei pazienti con emiplegia alternante

È stata poi la volta della presentazione del nostro lavoro sulla scala funzionale utilizzata per la valutazione dei pazienti con emiplegia alternante che, rispetto a quanto presentato ad Edimburgo nel 2022, ha mostrato i risultati dell’analisi statistica che sono molto positivi. La scala è stata apprezzata e considerata uno strumento molto utile e affidabile sia per la parte parossistica sia per quella dei disordini neurologici cronici e le attività della vita quotidiana, e quindi è parsa uno strumento molto utile anche per valutare l’efficacia di nuovi composti molecolari durante trials farmacologici e per definire ancora meglio la correlazione genotipo/fenotipo.

14 NOVEMBRE 2024 - POMERIGGIO

I fenotipi non AHC correlati a mutazioni di ATP1A3

La sessione “Clinical Approaches” si è aperta con la presentazione della dott.ssa Eleni Panagiotakaki (Hospices Civils de Lyon) riguardante una sintesi dei fenotipi non AHC correlati a mutazioni di ATP1A3 (RODP, CAPOS, RECA, DEE, COS, D-DEMO e altre). Tra di essi facciamo un cenno alla D-DEMO, che presenta sei caratteristiche specifiche ossia distonia, dismorfismi facciali, encefalopatia con ritardo di sviluppo psicomotorio, anomalie alla RM cerebrale comprendenti ipoplasia cerebellare, assenza di emiplegia ed esordio neonatale dei sintomi.

La Dott.ssa Panagiotakaki ha fornito una panoramica delle sindromi associate alle mutazioni di ATP1A3 ponendo l’attenzione sulla sovrapposizione delle sintomatologie e delle caratteristiche cliniche tra le varie condizioni. Sono stati presi in esame anche i disturbi dello sviluppo neurologico e i problemi comportamentali riscontrati nei pazienti AHC. È stata anche presentata una rassegna del paesaggio genetico AHC, evidenziando la scoperta di geni differenti da ATP1A3 che sono associati a condizioni simili all’AHC. Nonostante ATP1A3 rimanga il gene più studiato, la scoperta di nuovi geni possono offrire informazioni importarti su possibili meccanismi della patologia.

 Lo studio sulla storia naturale della AHC del consorzio IAHCRC

Successivamente il dott. Mikati (Duke University) ha fatto un resoconto sui risultati dello studio sulla storia naturale della AHC del consorzio IAHCRC (OBSERV AHC Study) in corso di revisione per pubblicazione e che è stato condotto raccogliendo dati di 115 pazienti AHC. In sintesi le conclusioni dello studio sono: 1) in AHC vi è un peggioramento della disabilità cognitiva e delle competenze di comunicazione e abilità quotidiane; 2) la compromissione di domini quali gli aspetti motori e di comunicazione rimane sostanzialmente stabile nel corso del tempo; 3) la mortalità è equivalente a quella presente in altre gravi encefalopatie; 4) gli outcome a lungo termine sembrano essere correlati non solo al tipo di mutazione ATP1A3, ma anche alla presenza di epilessia e ai punteggi degli indici PDI e NPDI.

Manifestazioni cardiache nei disordini associati ad ATP1A3

Le ultime due presentazioni della giornata sono state tenute dalla dott.ssa Villalta (problemi comportamentali nei disturbi del neuro sviluppo – San Joan de Deu) e dal dott. Landstrom (manifestazioni cardiache nei disordini associati ad ATP1A3 – Duke University). Ci soffermiamo sul quest’ultima in quanto l’obiettivo dello studio è determinare la causa delle morti improvvise che possono verificarsi nei pazienti AHC, e identificare ancora meglio il ruolo dell’ATP1A3 nel cuore. Il gruppo del dott. Landstrom ha ipotizzato che la mutazione D801N porti ad un aumento dei rischio di aritimie cardiache, che possono potenzialmente essere fatali, attraverso un’alterazione della ripolarizzazione cardiaca. Hanno scoperto che la mutazione D801N predispone i soggetti portatori a tempi di ripolarizzazione anomali e rapidi che peggiorano fino a causare bradicardia, che si associa al rischio di insorgenza di aritmie; in modo più specifico, hanno trovato che questa mutazione si associa ad un alto rischio di QT corto al tracciato ECG a riposo così come ad una predisposizione allo sviluppo di aritmie ventricolari. Al termine della presentazione, il dott. Landstrom ha suggerito di fare a tutti i pazienti 1 ECG/anno o quando ci siano variazioni significative della terapia farmacologica, 1 ECG Holter/anno e di riservare monitoraggi maggiori nei casi con sintomi cardiologici (es.: sincope). Inoltre suggerisce di evitare sedazioni o altri farmaci che causino bradicardia.

15 NOVEMBRE 2024 - MATTINO

L’avanzamento degli studi molecolari nelle cellule

Nella sessione “Decoding ATP1A3” la dott.ssa Sweadner (Massachusets General Hospital) ha presentato l’avanzamento degli studi molecolari nelle cellule, sottolineando come nelle colture cellulari le mutazioni di ATP1A3 non causino solo alterazioni del trasporto ionico transmembrana, ma anche problemi all’interno della cellula. In particolare sarebbe coinvolto l’apparato di Golgi che è frammentato e presenta una glicosilazione alterata. Hanno studiato in modo particolare i neuroni portatori della mutazione G947R, in cui i filamenti sono più lineari, meno complessi e con minori connessioni. Hanno, quindi, ipotizzato che l’alterata glicosilazione delle proteine di superficie, secondaria alle variazioni funzionali dell’apparato di Golgi, porti a variazioni nello sviluppo e nella plasticità cerebrale nei soggetti eterozigoti G947R.

Non solo i modelli animali ma anche quelli cellulari dunque risultano un ottimo strumento per comprendere i meccanismi che sono alla base dell’AHC. In particolare lo studio condotto su un modello cellulare con le varianti di ATP1A3 ha permesso di dimostrare la presenza di alterazioni strutturali dell’apparato di Golgi all’interno delle cellule. Questo è un organanulo ben strutturato in cisterne la cui funzione è quella di trasformare ed indirizzare il traffico delle molecole verso la giusta destinazione, pertanto l’alterazione della sua struttura o di quella delle proteine comporterebbe un blocco del trasporto molecolare portando al “suicidio” della cellula.

Per sintetizzare, nelle presentazioni di questa sessione, molto tecniche e specialistiche trattandosi di biologia molecolare, è stato fatto un aggiornamento sulle mutazioni genetiche associate alla sindrome AHC, sui possibili meccanismi molecolari alla base di altri disordini neurologici in cui sono coinvolte le pompe del sodio e del potassio, sul modello del C. Elegans(di cui si era già parlato lo scorso anno a Chicago) per spiegare le disfunzioni di ATP1A3.

La particolarità dei C. elegans è quella di possedere un solo gene che codifica per la pompa Na+/K+-ATPase, pertanto, l’introduzione di mutazioni AHC consentirebbero di avere un sistema semplice con cui comprendere i meccanismi neurali della malattia. L’intenzione è quella di caratterizzare ulteriormente questo modello animale, con l’obiettivo di poterlo utilizzare per identificare dei possibili bersagli terapeutici.

Lo studio di drug repurposing

Nella sessione “Bridging discoveries” ci soffermiamo sulla presentazione del dott. Danilo Tiziano (Università Cattolica di Roma) e del dott. Welniarz (Hospital “Pitie Salpetriere” di Parigi). La prima riguarda l’avanzamento dello studio di drug repurposing che è giunto alla selezione di 3 composti, di cui uno particolarmente promettente sulla base delle risposte in vitro; il dott. Tiziano ha espresso le difficoltà finora incontrate nella ricerca di una casa farmaceutica disposta a procedere con gli steps successivi e ha stimolato il confronto e il dibattito da parte del pubblico. Il feedback sul lavoro del gruppo italiano è stato senza dubbio più positivo rispetto a quanto accaduto nel 2022 ad Edimburgo.

 La somministrazione ad alto flusso dell’ossigeno in 3 pazienti AHC

Il dott. Welniarz ha presentato gli effetti positivi della somministrazione ad alto flusso dell’ossigeno in 3 pazienti AHC come trattamento in acuto di attacchi plegici e/o distonici. L’ipotesi è che l’ossigenoterapia agisca sulla cortical spreading depression. Pertanto hanno disegnato uno studio multicentrico, randomizzato, doppio cieco e placebo-controlled in cui arruolare 24 pazienti randomizzati in due braccia di trattamento: ossigeno al 100% seguito da placebo (aria medica) o placebo seguito da ossigeno al 100%. Il trattamento sarà somministrato il più presto possibile dopo l’inizio di un attacco e per una durata di 15 minuti, con un flusso di ossigeno di 12 l/min, e sarà valutata la percentuale di riduzione delle crisi motorie interrotte dopo 30 minuti dall’esordio.

15 NOVEMBRE 2024 - POMERIGGIO

Possibili biomarcatori elettrofisiologici nell’emiplegia alternante

Nella sessione “Clinical Approaches” segnaliamo la presentazione della dott.ssa Balestrini riguardante l’identificazione di possibili biomarcatori elettrofisiologici nella AHC. La dott.ssa Balestrini negli ultimi anni ha studiato molto l’elettrofisiologia della sindrome AHC, dal punto di vista epilettologico e delle caratteristiche del sonno (si rimanda agli studi dell’IAHCRC). Per poter essere considerato tale, un biomarcatore di patologia, “deve possedere caratteristiche che possono essere misurate come indicatori di processi biologici normali, di processi patologici o di risposte all’esposizione o ad un intervento specifici”. La ricerca si è focalizzata sulle misurazioni del sonno, EEG e stimolazione magnetica transcranica (TMS) che possono essere correlate alla gravità della malattia. Sono stati presentati i risultati di un’indagine sui problemi di sonno riferiti dai pazienti o dai caregivers in soggetti pediatrici e adulti. Circa il 50% degli individui con AHC ha riferito disturbi del sonno, che la maggior parte descrive come permanenti e altamente disabilitanti. Si è riscontrata un'associazione tra i disturbi del sonno e l’entità degli attacchi parossistici di AHC, sia epilettici che non epilettici.

Il gruppo di ricerca ha studiato i cambiamenti nell’analisi spettrale EEG durante eventi emiplegici e ha cercato di caratterizzare le caratteristiche spettrali EEG in cinque individui adulti con AHC rispetto ai controlli. Hanno identificato una differenza emisferica nello spettro EEG in fase precritica e critica, durante gli episodi emiplegici di AHC. Inoltre, hanno riscontrato una riduzione del pattern beta e un aumento del delta durante la veglia in individui con AHC rispetto ai controlli, e hanno anche confermato un indice di eccitazione più alto negli individui con AHC rispetto ai controlli.

Attualmente stanno svolgendo un'analisi EEG qualitativa e quantitativa del sonno in 41 bambini e adulti con AHC, osservando alterazioni notevoli nei modelli di sonno, compreso l'aumento del risveglio dopo l'inizio del sonno e una frammentazione del sonno in tutte le età. I risultati del gruppo suggeriscono che l'instabilità del sonno nell'AHC può essere influenzata sia dal disturbo stesso che dai fattori associati quali i disturbi dello sviluppo neurologico e i trattamenti farmacologici. Infine, hanno identificato variazioni alla stimolazione magnetica transcranica (TMS), suggerendo che le fluttuazioni di eccitabilità corticale possano servire come un biomarcatore di attività patologica.

European Research Network (ERN)

Nella sessione “Global Advocacy” segnaliamo la presentazione del dott. Arzimanoglou riguardante l’importanza delle European Research Network (ERN) tra medici e ricercatori che si occupano di malattie complesse e rare. La ERN EpiCARE è stata lanciata nel 2017 come una delle 24 reti di riferimento per le malattie accreditate dalla Commissione europea. La missione principale delle ERN è di migliorare e portare un accesso equo a servizi di alta qualità per la diagnosi, il trattamento e la gestione dei pazienti affetti da malattie rare.

Ha esposto a titolo esemplificativo quello che accade nell’ambito dell’epilessia, un'area di malattia molto impegnativa in quanto comprende una varietà di sintomi (convulsioni epilettiche), numerosi disturbi neurologici cronici e acuti e una lunga lista di malattie epilettiche proprie e le loro rispettive comorbidità, spesso rare, devastanti e talvolta pericolose per la vita. EpiCARE si occupa di oltre 160 forme rare di epilessia e, in soli sette anni dal suo lancio, ha sviluppato solide collaborazioni tra più di 60 dipartimenti specializzati in epilessia nell'UE, diversi altri partner di sostegno a livello nazionale ed europeo, e associazioni di pazienti. L’obiettivo è offrire un approccio multidisciplinare, che coinvolga neurologi per adulti e bambini, neuroradiologi, neurofisiologi, genetisti, neuropsicologi, neuropatologi e neurochirurghi, con una competenza in epilettologia.

Grazie alle ERN, i pazienti in tutta l'UE possono avere accesso alle migliori competenze disponibili. Mettendo in contatto esperti e pazienti, le ERN pongono le basi per progettare studi clinici e interventi terapeutici che siano adatti all’ambito delle malattie rare.

Le vescicole extracellulari derivate dai neuroni (NDEV)

Nella sessione “Clinical Approaches” ci soffermiamo sulla presentazione della dott.ssa Ikezu, riguardante le vescicole extracellulari derivate dai neuroni (NDEV) (frammenti microscopici che vengono rilasciati dalle cellule) come potenziali biomarcatori di malattie neurologiche. Hanno dimostrato che ATP1A3 è espresso in abbondanza nelle vescicole extracellulari (EV) isolate da neuroni umani, cervello, liquido cerebrospinale e plasma in confronto con le molecole di adesione delle cellule neurali 1 (NCAM1) e le molecole di adesione delle cellule L1 (L1CAM). L’analisi proteomica di EV ATP1A3 positive, derivate dal cervello, mostra un maggiore arricchimento dei marcatori sinaptici e proteine di carico pertinenti alla malattia di Alzheimer (AD) rispetto a NCAM1+ o LICAM + EVs. Concludono che ATP1A3 è un bersaglio affidabile per isolare NDEV dai biofluidi per la ricerca diagnostica.

L’importanza di fare “rete”

Il simposio ha anche sottolineato l’importanza di promuovere la ricerca, la sensibilizzazione sulle malattie rare e di ridurre la tempistica nella diagnosi che solitamente si aggira intorno ai 6 anni. Un altro problema su cui è stata posta l’attenzione è la difficoltà nel reperire finanziamenti. A tal proposito è stata presentata la rete UrGENT (Ultrarare Gene Therapy) che mira a finanziare programmi di ricerca che abbiano identificato una nuova terapia genica e a supportare la transizione verso le sperimentazioni cliniche.

Ci sono stati interventi anche da parte di fondazioni AHC o altri consorzi per le mattie rare. Inoltre è stato ribadito il concetto di quanto sia importante fare “rete” tra famiglie, clinici e ricercatori, per migliorare l’esperienza della diagnosi, per creare registri di pazienti che raccolgano dati clinici, di terapia e di follow-up.