Organizzato dal Karolinska Institutet di Stoccolma in collaborazione con l’Associazione Svedese per l’Emiplegia Alternante, si è svolto il 23 e 24 settembre scorsi il 9° simposio ATP1A3 In Disease. Originariamente fissato per il 2020 ma rinviato a quest’anno a causa della pandemia COVID-19, l’evento si è tenuto in modalità digitale ed è stato seguito da circa un centinaio di partecipanti tra ricercatori e rappresentanti delle associazioni di pazienti. Più ridotta rispetto alle edizioni precedenti la presenza dei ricercatori italiani: le d.sse Elisa De Grandis e Michela Stagnaro (I.R.C.C.S. G. Gaslini di Genova), la d.ssa Livia Pisciotta (ospedale L. Sacco di Milano), il dott. Danilo Tiziano, le d.sse Emanuela Abiusi e Agnese Novelli (Università Cattolica del S. Cuore di Roma).
Il programma e gli interventi dei relatori
Il programma della prima giornata, aperta come da prassi con il benvenuto da parte di Anita Aperia ed Eli Gunnarson, ricercatrici del Karolinska Institutet, in rappresentanza del comitato organizzatore, si è articolato in 2 sessioni: nel corso della prima sessione, dedicata alle interazioni tra i trasportatori degli ioni e la membrana plasmatica, la d.ssa Elisa De Grandis ha presentato i risultati della pubblicazione sulla correlazione genotipo-fenotipo in 39 pazienti italiani, che le famiglie italiane hanno potuto seguire nel corso dell’ultimo meeting A.I.S.EA. Da notare la collocazione assolutamente off topic di questo intervento, unico contributo italiano di tutto il simposio, assolutamente estraneo per i contenuti all’argomento della sessione (come pure una successiva, ennesima trattazione della dieta chetogena). In estrema sintesi, i lavori presentati hanno messo in evidenza che anche il funzionamento della membrana plasmatica delle cellule "normali" si differenzia da quello delle cellule mutate, quindi lo studio approfondito di questi meccanismi può fornire indicazioni importanti sia dal punto di vista funzionale che terapeutico. La sessione del mattino si è conclusa con una breve discussione tra i relatori.
Gli interventi della seconda sessione hanno riguardato la neurofisiologia ed il trattamento del dolore, argomento di grande interesse a causa delle manifestazioni sintomatiche delle sindromi ATP1A3 (distonie, ipertono, spasmi, tremori, ...). La relazione introduttiva, a cura di Håkan Olausson (Università di Linköping, Svezia), ha illustrato le scoperte più recenti derivate dagli studi elettrofisiologici della conduzione degli stimoli sensoriali e dolorosi nell'uomo. A seguire, la presentazione di un esempio di presa in carico multidisciplinare relativo alla gestione del dolore nei pazienti in età pediatrica, sperimentato in Svezia ma assai difficilmente applicabile alla realtà sociosanitaria italiana… Ai contenuti iniziali di buon livello di questa sessione hanno poi fatto seguito altri interventi di scarso interesse (2 casi di studio di pazienti con sindromi ATP1A3 ed una trattazione da addetti ai lavori); in chiusura di giornata, Kathleen Sweadner (Università di Harward, U.S.A.) ha parlato degli effetti della risposta cellulare sullo spettro delle sindromi ATP1A3.
A questo punto, il programma del simposio in presenza prevedeva la visita guidata al Museo del premio Nobel e l’immancabile cena di gala… eventi che speriamo di poter recuperare in un futuro normale e privo di minacce pandemiche. Per i più curiosi: https://nobelprizemuseum.se/en/languages/italiano.
La seconda giornata ha avuto un avvio movimentato a causa di problemi tecnici della piattaforma virtuale, risolti comunque in breve tempo. In apertura la lettura accademica a cura di Maiken Nedergaard (Università di Copenhagen, Danimarca), dedicata alla struttura e al funzionamento del sistema glimpatico, scoperto nel 2013: si tratta di un sistema che, oltre a consentire la rimozione delle scorie metaboliche del sistema nervoso centrale, facilita la distribuzione nel cervello di diverse sostanze (glucosio, lipidi, aminoacidi). Una particolarità di questo sistema è il fatto di essere attivo principalmente durante il sonno, rimanendo invece prevalentemente inattivo in stato di veglia; questa caratteristica è evidentemente molto interessante per l’emiplegia alternante, in cui il sonno determina l’immediata remissione dei sintomi. A seguire la presentazione, da parte di Maria T. Papadopolou (Ospedali Universitari di Lione, Francia), dei risultati preliminari di uno studio sul sonno condotto su un campione di 18 pazienti francesi con emiplegia alternante: a differenza di analoghi studi precedenti, non si è riscontrata in questo caso un’alta incidenza di disturbi del sonno, fatto che induce pertanto ad approfondire ulteriormente questo aspetto.
La terza sessione ha preso in esame l’espressione delle mutazioni ATP1A3 nei neuroni motori ed il loro ruolo nelle funzioni motorie. Di particolare interesse l’intervento di Gareth Miles (Università di St. Andrews, Scozia), che ha descritto la neurofisiologia degli impulsi motori nel midollo spinale; gli studi descritti ipotizzano un ruolo della pompa ATP nella regolazione di questi impulsi. Nell’intervento conclusivo della sessione, Eva Weidenhielm Broström (Karolinska Institutet, Svezia) ha presentato un altro esempio di presa in carico, multidisciplinare e con supporti tecnologici all’avanguardia, relativo questa volta ai disturbi dell’andatura. Prima della pausa pranzo, un breve dibattito sul sistema glimpatico tra i relatori della mattinata.
La quarta ed ultima sessione è stata di gran lunga la più interessante, se non per i ricercatori certamente per i pazienti: sotto il titolo assolutamente generico di manifestazioni molecolari e genetica, si sono susseguite una serie di presentazioni dai contenuti decisamente più aderenti all’obiettivo di fornire una diagnosi certa e trovare una cura efficace alle sindromi ATP1A3.
In apertura il dott. Hendrik Rosewich (Università di Göttingen, Germania) ha elencato i numerosi fenotipi causati dalle mutazioni ATP1A3: oltre a quelli già noti (AHC, RODP, CAPOS), a partire dal 2014 ne sono stati identificati altri: RECA (Relapsing Encephalopathy with Cerebellar Ataxia, encefalopatia ricorrente con atassia cerebellare), FIPWE (Fever Induced Paroxysmal Weakness and Encephalophaty, debolezza parossistica ed encefalopatia indotte dalla febbre), CROA (Childhood Rapid Onset Ataxia, atassia infantile ad esordio rapido), EIEE (Early-onset Encephalophaty with no AHC features, encefalopatia ad esordio precoce priva dei sintomi tipici dell’EA), SPCA (Slowly Progressive Cerebellar Ataxia, atassia cerebellare a lenta progressione) , fino ad arrivare ad alcune sindromi prevalentemente psichiatriche, quali COS (Childhood Onset Schizophrenia, schizofrenia ad esordio infantile) e ASD (Autism Spectrum Disorder, disturbi dello spettro autistico). Da rilevare che, tra tutte quelle finora identificate, l’emiplegia alternante è l’unica sindrome che comprende tutte le caratteristiche fenotipiche osservate, presenti solo in parte nelle altre sindromi. Parallelamente, sono state identificate mutazioni in altri geni, potenzialmente causative di sindromi con caratteristiche fenotipiche analoghe a quelle dell'EA. Incrociando queste recenti osservazioni si può arrivare a formulare diagnosi più accurate, escludendo eventualmente quella inizialmente formulata in modo non conclusivo. In merito agli aspetti diagnostici, il dott. Rosewich ha segnalato la recente pubblicazione sull’European Journal of Paediatric Neurology (2021 May; 32:A4-A5) di un articolo a firma di Mohamad Mikati, Eleni Panagiotakaki e Alexis Arzimanoglou in cui viene proposta una revisione dei criteri diagnostici dell’EA, originariamente fissati circa 20 anni fa dal clinico francese J. Aicardi, uno dei “padri” dell’emiplegia alternante (per i dettagli si rimanda all’originale in lingua inglese: https://doi.org/10.1016/j.ejpn.2021.05.004).
Un esempio di come sia possibile tradurre nella pratica diagnostica quanto descritto a livello teorico dal dott. Rosewich è stato presentato da Anna Lindstrand (Karolinska Institutet, Svezia). Applicando strategie diagnostiche più accurate rispetto a quelle attualmente adottate per le sindromi neurologiche complesse, che tengano conto non solo del genotipo e fenotipo del paziente ma anche di quello di genitori, fratelli/sorelle ed altri pazienti con caratteristiche simili, è possibile effettuare diagnosi definitive e certe in tempi più brevi. L'approccio diagnostico è multidisciplinare e non si limita all’esecuzione dei test genetici ed all’esame dei sintomi clinici del solo paziente, come avviene attualmente nella maggioranza dei casi sia in Italia che all’estero. Anche questa esperienza è del tutto irrealizzabile nella realtà sanitaria italiana, ma quei pazienti che non hanno tuttora una diagnosi definitiva o risultano negativi alle mutazioni ATP1A3 potrebbero prendere in considerazione una gita a Stoccolma...
A seguire, altre 2 relazioni non attinenti all’argomento della sessione; di rilievo quella di Christopher A. Walsh (Harward Medical School, U.S.A.), che ha presentato dei dati suggestivi di come l'espressione del gene ATP1A3 abbia un ruolo nello sviluppo della corteccia cerebrale nelle prime settimane della gestazione, riscontrando in particolare una correlazione tra la sindrome PMG (PolyMicroGyria, una malformazione della corteccia cerebrale) e mutazioni ATP1A3.
L’intervento conclusivo, a cura del prof. Mohammad Mikati (Duke University, U.S.A.), ha descritto lo stato di avanzamento degli studi preclinici sulla terapia genica; i risultati preliminari dei test sul modello animale, riveduti e migliorati dopo gli iniziali insuccessi, hanno fornito dati incoraggianti ed ottimistici. Come ha comunque precisato il relatore, la strada da percorrere prima di arrivare alla sperimentazione clinica è anche in questo caso molto lunga, costosa e non priva di incognite.
Il simposio si è chiuso come di consueto con una discussione aperta ai membri del comitato organizzatore locale e di quello permanente. La data e la sede del prossimo simposio non sono state ancora stabilite, ma si prevede comunque di confermarne lo svolgimento nel 2022. I partecipanti registrati all’evento potranno rivedere, tramite la piattaforma on line, gli interventi di questo simposio, che rimarranno accessibili per tutto il mese di ottobre. Da segnalare infine che, probabilmente nel corso del mese di novembre, si terrà il meeting virtuale delle associazioni di pazienti, sempre a cura dell'organizzazione del simposio ed utilizzando la stessa piattaforma.
Commenti e considerazioni
Il fatto più importante da sottolineare è che il simposio si sia finalmente tenuto, nonostante tutte le inevitabili difficoltà imposte dal periodo e dalla situazione internazionale; il suo svolgimento è stato un importante segno di continuità e della volontà di proseguire lungo la strada tracciata in occasione del 1° evento (Bruxelles 2012).
La piattaforma digitale utilizzata si è rivelata estremamente ben organizzata e funzionale, benché con il limite (adottato presumibilmente per ragioni organizzative) di escludere tutti i partecipanti dall’interazione diretta con i relatori ed i moderatori. L’unico modo per porre domande era attraverso una chat, ed era possibile scambiare messaggi con gli altri partecipanti solamente mediante una funzione simile alla posta elettronica. Questi vincoli tecnici, sebbene abbiano consentito il rigoroso rispetti dei tempi imposti dal programma, hanno sicuramente limitato ed impoverito la manifestazione.
Come tuttavia accaduto nelle edizioni più recenti, la struttura del programma e la scelta dei relatori sono state ancora una volta discutibili: la larga maggioranza degli interventi è stata riservata a ricercatori svedesi, molti dei quali ovviamente legati all’istituto organizzatore da rapporti di collaborazione; poche e non particolarmente significative le presentazioni dei relatori internazionali. Da segnalare inoltre la totale assenza di ricercatori esterni all’Europa ed agli U.S.A., sempre presenti, anche se in numero limitato, nelle edizioni precedenti. Numerosi come sempre gli interventi di taglio estremamente tecnico, molto difficili da seguire non solo per i profani ma anche per alcuni degli addetti ai lavori. Infine, la modalità digitale ha privato l’evento di uno dei suoi aspetti più importanti: l’interazione personale tra i ricercatori ed i rappresentanti dei pazienti, estremamente preziosa poiché in grado di fornire utilissimi elementi di osservazione e di ispirazione per i progetti di ricerca.
Concludo citando alcune significative parole del dott. Hendrik Rosewich:
“Voglio mettere fine a questa malattia, non voglio più vedere attacchi gravi. Combattiamo insieme per questo! Tutte le associazioni AHC svolgono un enorme lavoro aiutandoci a trarre il meglio da noi stessi e dalla ricerca. Questo per me significa veramente tanto!
Grazie infinite, ed ora mettiamoci al lavoro per scoprire altro!”
Testo a cura di Filippo Franchini, vicepresidente A.I.S.EA Onlus