Incontriamoci in rete: resoconto del progetto di supporto psicologico on line

Da gennaio a giugno 2021, per far fronte al periodo di distanziamento e isolamento forzati provocati dalla pandemia, A.I.S.EA ha proposto alle famiglie un progetto di supporto psicologico on line guidato dalla psicologa Rosa Clemente già terapista di una ragazza con emiplegia alternante. L’obiettivo era supportare, attraverso colloqui di gruppo, sia i bambini e i ragazzi dell’associazione sia le loro famiglie per aiutarli ad affrontare le difficoltà legate alla malattia e alla situazione contingente in maniera propositiva.

Sono stati organizzati quattro gruppi distinti: ▪ ragazzi; ▪ bambini; ▪ genitori degli adulti; ▪ famiglie dei più piccoli. Con ciascuno di essi è stato stabilito un appuntamento al mese, programmato di volta in volta per venire incontro alle varie esigenze. Incontrarsi in rete ha offerto l’occasione per scambiare esperienze della propria vita quotidiana con la malattia: “Aver istituito incontri mensili con le famiglie, ragazzi e bambini è stata un’iniziativa per trasmettere loro la magia dell’incontro – spiega la psicologa Rosa Clemente –  Per esperienza ognuno trova energia nel proprio vivere la quotidianità, scandita dalla routine giornaliera. Incontrarsi seppur in video ci ha calati nella quotidianità di ciascuno con l’intento di trovare alternative per sostenersi e non sentirsi soli”.

La partecipazione, lascolto, la condivisione si sono posti come obiettivi primari del progetto, che ha consentito a tutti i partecipanti di testimoniare anche solo con la semplice presenza l’appartenenza al gruppo delle famiglie EA, unite dalla comune convivenza con la sindrome di Emiplegia Alternante.

Con i genitori dei bambini più piccoli il supporto psicologico è stato orientato principalmente all’elaborazione della cosiddetta “ferita narcisistica”, termine che racchiude la sofferenza interiore per la diagnosi di malattia rara, il senso di impotenza, la delusione delle aspettative e la difficoltà di accettazione della disabilità. Prendere consapevolezza significa anche attivare tutti i consigli pratici per aiutare i figli a valorizzare al meglio le proprie possibilità senza termini di confronto. “Alle richieste lineari dei genitori per sapere quando il proprio figlio sarebbe stato in grado di fare le medesime cose dei propri fratelli o coetanei – prosegue la psicologa –  la risposta di rimando è stata di non cercare questa linearità ma di puntare alla circolarità. Ossia concentrarsi su quando il bambino potrà arrivare a fare un’attività superando le sue difficoltà fisiche e usando al massimo le strutture del proprio territorio.”

Con il gruppo di genitori dei ragazzi più adulti, il clima degli incontri era più disteso, anche grazie ad una maggiore consapevolezza della malattia. La preoccupazione maggiore per loro era rivolta principalmente al futuro dei figli carico di incognite. Vedersi in video è stato un modo per mantenere vivi i rapporti e scambiare esperienze.

Più difficili da gestire on line gli incontri dei bambini, tra impegni scolastici ed extra scuola. Con loro si è lavorato sulle emozioni e sulla capacità di oggettualizzare la dimensione interiore per accrescere l’intelligenza emotiva, ossia la capacità di esternare e gestire la propria emotività.

Il vero gruppo pulsante sono stati gli adolescenti, presenti e vivi. – aggiunge la psicologa –  La gabbia della malattia li ha resi uniti nell’identificazione tra di loro tramite la patologia. Tuttavia non riconoscono la disabilità come parte di loro, anzi si pongono l’obiettivo di poter svolgere al meglio ciò che riescono per essere liberi. La libertà era nei loro occhi, nel loro corpo, un’esigenza per affrontare le crisi e credere che tutto sia frutto di una loro unicità e non di un’etichetta”.

Mediatrice di tutti gli incontri la terapeuta Rosa Clemente ha dichiarato: “Ho imparato da loro tutti a guardare oltre e credere che sempre si può continuare a servire questa arte. La psicologia non è una scienza. Anche se il contatto viene meno, la comunicazione comunque ha un canale che non è solo fisico, prevede il guardarsi negli occhi, reggere il confronto e poter rivolgere lo sguardo tutti verso la stessa direzione. Questo un computer consente di farlo in modo rapido e mai obsoleto. Abbracciare le forme alternative d’incontro è stato un modo per rendere il tutto prossimale verso l’empatia che attraversa sempre il tempo e i cicli di vita”.

Come Associazione di pazienti, nell’augurarci di avere trasmesso un segno di vicinanza e attenzione alle diverse problematiche dei nostri soci, speriamo che l’iniziativa sia stata utile a tutti i partecipanti e vi invitiamo a esprimere le vostre opinioni in merito o eventuali proposte scrivendoci a info@aiseaonlus.it.

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