La medicina che viene dall’anima. L’Emiplegia Alternante si combatte anche con il pensiero positivo

Una pedalata dopo l’altra, in sella alla sua mountain bike, Marco ne ha percorsa di strada alla ricerca di libertà e di una vita appagante nonostante la convivenza con una malattia rarissima, l’emiplegia alternate, che lo accompagna da quando aveva sette mesi.
Nostro socio e amico, Marco Doglio oggi è un uomo che ha superato la cinquantina. Il suo intervento all’ultimo Meeting delle Famiglie AISEA con un messaggio di speranza per i ragazzi e i genitori dei bambini più piccoli, nella sua semplice immediatezza, ha riportato l’attenzione sul vero senso della ricerca scientifica che ha al centro la persona: la voce del malato è parte integrante di una lotta che si combatte ogni giorno tra provette di laboratorio e mura domestiche, tra lacrime e dolore di chi vive sulla propria pelle una patologia invalidante senza mai smettere di sperare. La testimonianza di Marco ha parlato per tutti loro, anche le persone a cui la malattia non consente di esprimersi, ma non sono invisibili.
In una video intervista gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua vita con l’emiplegia alternante.  Con un sorriso contagioso da cui traspare positività ci parla di un’esistenza oggi serena dopo tanti momenti difficili, un percorso tortuoso fatto di piccoli e grandi traguardi ottenuti anche grazie alla dedizione di mamma Maria e papà Romeo che insieme a lui non si sono mai arresi.

Marco, come è il tuo rapporto con la malattia?

Ci convivo. Bisogna combattere giorno per giorno. Io ho combattuto e combatto ancora. Non bisogna mai mettere la malattia davanti a tutto, prima veniamo noi come esseri umani. Anche se è difficile bisogna sentirsi liberi dalla malattia. Siamo in grado di fare tante attività, naturalmente con i nostri tempi, possiamo essere contenti e porci dei piccoli obiettivi ogni giorno. Gli attacchi di emiplegia alternante, il dolore e le difficoltà ci sono eccome, ma fanno parte di questa assurda sindrome, noi siamo altro, siamo molto di più. Non dobbiamo mai pensare che non possiamo farci nulla, perché la scienza va avanti e bisogna credere nella medicina e in se stessi. Alle famiglie e ai ragazzi dico di avere forza e andare avanti”.

Cosa ti ha aiutato a stare meglio e a superare la paura e la rabbia?  

Da giovane ho girato vari psicologi ma senza successo. Un giorno all’Istituto Besta di Milano, dove ero seguito anche per attacchi di panico, mi hanno proposto una terapia con una equipe di psicologi dell’Ospedale San Paolo di Milano. Da quel momento in poi ho iniziato a sentirmi più sicuro e piano piano ho acquistato indipendenza e serenità. I miei genitori mi hanno sempre aiutato, mi hanno spronato senza mai perdersi d’animo. Papà è mancato un anno fa, è stato un brutto colpo ma ho trovato la forza di andare avanti e così sono d’aiuto anche a mia mamma.  Vicino a noi c’è anche mio fratello, sua moglie e i nipoti. Credo di aver superato la rabbia imparando ad accettare la malattia senza diventarne succube. Oggi sono contento di essere Marco così come sono, di aver tirato fuori il mio carattere. Questo mi rasserena e mi fa stare bene nonostante tutto.”

Quanto sono importanti nella tua vita l’amicizia, gli impegni e le passioni?

“Per quanto riguarda l’amicizia ho tanti contatti ma pochi amici del cuore. Le persone della mia età hanno la loro vita, i figli, gli impegni di lavoro, non hanno tempo e poi sono frenati anche dalla paura che io possa avere delle crisi. A volte, a farmi contento, basterebbe un messaggio per sapere come sto. Tante persone vivono situazioni analoghe alla mia, servirebbe più attenzione.
Gli impegni sono importanti. Da diversi anni pratico volontariato in una comunità a Pavia. Ogni giorno faccio diverse commissioni in autonomia qui dove abito.
La mia passione è la bicicletta. Vado in mountain bike da solo anche per lunghi tratti e mi fa sentire libero. Da ragazzo sono stato anche in vacanza in Corsica con la bici.”

Quale è un tuo sogno Marco?

Sogno di vivere una vita il più tranquilla possibile, pensando in modo positivo. La vita è già difficile e i sentimenti negativi non fanno altro che peggiorare il morale, ripercuotendosi anche sulla condizione fisica. Voglio guardare oltre la malattia. Vorrei che uscisse fuori la gioia che vivo dentro, quello che sono io: Marco.
Un altro desiderio è che i malati rari non siano associati solo alla malattia ma vengano ascoltatati di più e possano condividere la propria condizione. Anche se non riusciamo ad esprimerci bene possiamo comunque comunicare e trasmettere dei messaggi. Sono stato felice di offrire una mia testimonianza durante il Meeting di A.I.S.EA perché anche noi malati abbiamo qualcosa da dire e grazie all’Associazione è stato possibile. Le persone non sanno la fatica che facciamo con le nostre famiglie.”.

A proposito di famiglia, dopo la chiacchierata con Marco, incontriamo in videoconferenza anche la mamma. Maria, sguardo luminoso e sorridente, ci spiega come suo figlio non sia sempre stato loquace e sereno come appare oggi. L’amore, la tenacia, le cure dei professionisti giusti, forse anche un pizzico di fortuna nella sfortuna hanno dato i loro frutti. Sembra un miracolo della speranza che negli anni la situazione sia migliorata, consapevoli che ogni persona fa storia a sé e che in alcuni pazienti purtroppo l’emiplegia alternante ha manifestazioni più severe che lasciano poco margine di azione.

Mamma Maria, come è stato crescere Marco e cosa consiglierebbe alle mamme più giovani?

Marco ha iniziato a parlare veramente sui trent’anni. Quando è successo mi ha detto: ‘Mamma sto uscendo da un tunnel. Era tutto buio, adesso inizio a vedere la luce’.

Sapesse le battaglie che abbiamo combattuto io e mio marito Romeo. Marco è stato uno dei primi malati di emiplegia alternante. Quando era piccolo non esisteva ancora una diagnosi, non c’erano cure e non era riconosciuta l’invalidità. La fatica che abbiamo fatto per essere considerati nell’ambito della scuola! Non c’era attenzione verso le malattie rare, brancolavamo nel buio più assoluto, ma non ci siamo mai arresi. Avevo tutti contro, ma ho sempre continuato a sperare, insistendo perché Marco facesse tutto quanto nel modo più normale possibile, senza voler essere compatita, ma con dignità, un valore che ho cercato di trasmettere anche ai miei figli.

Io e mio marito siamo stati molto uniti. Siamo stati fortunati in questo perché ci siamo dati forza l’uno all’altra.  Avevo continuamente paura di come sarebbe andata la giornata, ma non mi sono mai fatta vedere triste o preoccupata, indossavo sempre un sorriso, anche per creare equilibrio in famiglia con il fratello maggiore.

Da piccolo Marco aveva il terrore dell’acqua e di stare da solo in casa. Lo abbiamo aiutato a superare queste paure mettendo lui e noi stessi alla prova.  A volte lo lasciavo da solo e mi nascondevo per vedere come reagiva, pronta a intervenire. Ho cercato sempre di renderlo più autonomo e di incoraggiarlo.

Quello che desidero dire alle neomamme è di insistere e di non perdersi mai d’animo, di dare forza e coraggio ai propri figli. La scienza fa sempre passi in avanti e noi dobbiamo crederci. L’Associazione AISEA ha fatto e continua a fare molto, perché insieme le persone affrontano con più positività e coraggio ogni difficoltà.”