In che modo un insegnante può agevolare l’apprendimento e l’inserimento nella scuola di un alunno con Emiplegia Alternante o con analoga disabilità?
Su questo tema ci ha fornito la propria analisi la dott.ssa Rosa Clemente, psicologa e psicoterapeuta Sistemica Familiare, attiva a Pavia.
“Tanto è più forte la predominanza della patologia, quanto più lungo è il tempo che richiede la presenza di una figura che supporti e accudisca i ragazzi a scuola. – spiega la dott.ssa Clemente – Le ‘nutrizioni didattiche’ non si limitano a snellire il programma, puntano piuttosto a rafforzarlo grazie all’empatia che si instaura con il ragazzo e alla capacità di ascoltare quali sono le sue risorse”.
L’ansia e l’inquietudine sono sentimenti che un ragazzo con EA può avvertire quando gli viene posta una richiesta in più, o vive un momento di emarginazione da parte dei compagni, condizioni di disagio che possono inficiare la sua esperienza didattica e impedirgli di godere a pieno la vita scolastica. Per canalizzare in maniera positiva ed efficace l’apprendimento dell’alunno è importante, secondo la psicologa, adattare il più possibile al suo universo cognitivo un programma didattico su misura.
“Compito dell’insegnante è tenere conto del tipo di classe che il ragazzo emiplegico frequenta – avverte la dott.ssa Clemente – cercare di rendere il suo apprendimento più verosimile ai suoi interessi, aiutandolo a vivere pienamente il contesto scolastico con i coetanei e facendo in modo che i suoi bisogni specifici diventino un momento di piacere. La comprensione avviene quasi su un piano ‘magico’, attraverso un’alchimia delle parti. Il momento d’insegnamento – apprendimento dovrà variare con un processo più o meno graduale. Il docente dovrà cogliere il filo del piacere dell’apprendimento per sviluppare al massimo il cognitivo dell’alunno, meravigliandosi perfino delle capacità che questa sinergia produce.”
Attraverso la relazione empatica, l’insegnante cerca di immedesimarsi nell’allievo per comprendere il più possibile il suo stato e offrirgli, di conseguenza, quanto gli necessita sul piano didattico e socio – scolastico.
“È come se gli interessi dell’insegnante si spostassero dal proprio ‘Io d’insegnante’ e dessero luogo a un particolare atteggiamento, ovvero la ‘preoccupazione didattica primaria’. Tale disposizione interna del docente rende possibile lo sviluppo di un programma adattato al ragazzo. L’insegnante si adopera a creare una scia in cui lo studente può muoversi in libertà didattica. In questo modo l’esperienza scolastica diventa un godimento: cognitivo, emotivo e relazionale insieme, tramutando ciò in una linfa vitale da cui attingere la forza per andare oltre i propri limiti fisici. Non è l’occhio ma l’orecchio che ci permette di guardare la realtà, un orecchio che aspetta solo che la campanella dell’empatia suoni e che i soggetti coinvolti agiscano” – conclude la dott.ssa Rosa Clemente.